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Cosa rimpiangi quando stai morendo (Sabato 04 Febbraio 2012 21:16 29 Commenti Questa è una mia libera traduzione di un bellissimo articolo uscito sul Guardian col titolo: “Top five regrets o f the dying”). Riguarda una piccola raccolta dei maggiori rimpianti che i morenti manifestano sulle proprie esistenze trascorse. Li ha raccolti in un libro Bronnie Ware, infermiera di un reparto di cure palliative. A seguire ho aggiunto anche un commento di Lucia Capparucci, che a sua volta opera come volontaria in Italia in un hospice con i malati terminali, perché era così bello e intenso che meritava di non essere lasciato alle mille pieghe dei commenti e dei mi piace su Fb.   Nessuna menzione sul fare più sesso o sui mancati bungee jumping. Un’infermiera di un ospedale specializzato in cure palliative per i malati incurabili ha rivelato i più comuni motivi di rammarico che emergono alla fine della vita. Tra i più frequenti, specialmente per gli uomini, c’è il rimpianto di aver dedicato troppo tempo al lavoro. Bronnie Ware è un’infermiera australiana che ha trascorso diversi anni in un reparto di cure palliative, occupandosi di pazienti con appena tre mesi di vita davanti. Ha registrato le confessioni in punto di morte in un blog chiamato Inspiration and Chai, che ha ricevuto così tanti contatti da spingerla a riportare le sue osservazioni in un libro intitolato: “I cinque principali rimpianti del morente”, dove racconta dell’impressionante chiarezza di visione che le persone manifestano alla fine della loro vita e di come sia possibile che anche noi impariamo dalle loro consapevolezze. “Quando vengono interpellati a proposito dei propri rimpianti o di quello che avrebbero voluto fare in modo diverso” – dice Ware – “ci sono temi comuni che ritornano”.Eccoli.1. Avrei voluto avere il coraggio di vivere la vita che volevo, non quella che gli altri si aspettavano che vivessi.Questo è il più comune rimpianto per tutti. Quando le persone si rendono conto che la loro vita è quasi finita e guardano al passato con maggiore chiarezza, è facile che vedano quanti dei loro sogni non si sono realizzati. Molte persone non hanno onorato neanche la metà dei desideri che avevano e devono morire sapendo che questo è dipeso dalle scelte che hanno fatto o non fatto. La salute offre una libertà di cui pochissimi si rendono conto, finché non la perdono.2. Avrei voluto lavorare meno duramente.Questo rimpianto appartiene soprattutto ai pazienti maschi di cui mi sono presa cura. A causa dell’eccesso di lavoro hanno perso l’infanzia dei figli e goduto poco della compagnia dei partner. Qualche donna a volte parla di questo rammarico, ma come spesso capitava nelle generazioni precedenti, molte di loro non erano capifamiglia su cui si reggeva l’economia familiare. Tutti gli uomini di cui mi sono presa cura rimpiangevano profondamente di aver speso così tanto tempo delle loro vite lavorando come criceti nella ruota.3. Vorrei aver avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti.Molte persone soffocano quello che sentono per amor di pace, per evitare conflitti. Il risultato è che vivono un’esistenza fatta di mediocrità e non diventano mai quello che avrebbero potuto essere davvero. Tanti di loro sviluppano relazioni malate a causa dell’amarezza e del risentimento che si portano appresso.4. Vorrei essere rimasto in contatto con i miei amici.Spesso queste persone non realizzavano veramente il vantaggio di avere un vecchio amico fino a quando non giungevano alle loro ultime settimane di vite e non era più possibile rintracciarne qualcuno. Molti si sono fatti prendere così tanto dalle loro vite da lasciar perdere amicizie preziose lungo gli anni. È un profondo rimpianto quello di non aver dedicato agli amici il tempo che si meritavano. Tutti hanno nostalgia di un amico vero quando stanno morendo.5. Avrei voluto permettere a me stesso di essere felice.Questo è un rimpianto sorprendentemente comune. Molte persone non si rendono conto fino alla fine che la felicità è una scelta. Si adagiano dentro a vecchi schemi e abitudini finché il cosiddetto comfort del quotidiano sommerge le loro emozioni e anche le loro vite fisiche. La paura del cambiamento fa sì che spesso finiscano per fingere con sé stessi e con gli altri che tutto questo basti, che sia sufficiente; ma nel profondo continuano a desiderare una risata vera e un’ultima sciocchezza da fare ancora nella vita.Qual è il tuo più grande rimpianto sino a ora e cosa conti di fare per sistemare le cose prima di morire? In hospice, come le ho accennato di persona, condivido con le persone che “accompagno” tempo e parole, ma non mi ritrovo completamente in questi cinque punti. Probabilmente dipende dal paese e dalla cultura di riferimento. In generale posso dire che gli uomini muoiono in modo profondamente differente dalle donne. Si prendono il loro tempo, si concedono di chiudersi in loro stessi nei giorni immediatamente precedenti il decesso e ti trasmettono una sensazione di compiutezza, le donne invece si passano e ripassano davanti agli occhi i problemi di una vita come fossero i grani di un rosario. Gli uomini anziani hanno rimpianti (quello dell’aver troppo lavorato è il più comune effettivamente), ma sono comunque soddisfatti anzi né vanno fieri, ti raccontano la loro vita in modo quasi epico, iniziano ad andarsene convinti di aver cambiato il mondo con il loro passaggio. Le donne anziane invece sono generalmente tormentate o irrisolte, raramente si prendono il loro tempo per congedarsi, parlano delle cose che non hanno potuto fare, dei problemi che lasceranno, delle situazioni irrisolte che non hanno potuto concludere. Insomma sono troppo preoccupate per gli altri e per non aver fatto nulla di significativo per decidere di “riraccontarsi” la loro vita e assaporarla un’ultima volta.L’unico cruccio di entrambi i sessi quando muoiono in età avanzata è di non aver fatto in tempo ad invecchiare o ad accorgersi che erano diventati anziani. (E sto parlando di over80).Per i giovani invece le differenze si stanno attenuando. Il diciottenne è arrabbiato e indipendentemente dal sesso odia non aver avuto la possibilità di passare dall’altra parte, quella degli adulti, ti lascia con quel enorme “se solo avessi potuto vedere poi! ah sarebbe stato tutto un altro mondo”.Il venticinque-trentenne (ma anche oltre) se ne va consapevole che di lui non rimarrà nulla. Ascoltare una ragazza che ti parla della sua vita sempre con i genitori o un ragazzo che ti elenca e ripete finché gli rimane voce quella lista infinita di lavori precari e indefiniti è davvero difficile e non perché sono il tuo specchio anagrafico, ma perché si portano dentro un’angoscia che non riesci mai ad alleviare. Ti guardano e poi ti dicono: “Sarò ricordato solo dai miei genitori, non ho fatto in tempo a fare o cambiare nulla. Non lascio una famiglia, non lascio figli, non lascio nemmeno idee”. (Quest’ultima frase era di Alessandro, 29 anni una laurea in agraria 3 anni da precario e 1 di scienze infermieristiche, ha passato gli ultimi giorni rileggendo un libro di storia del liceo).

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